Roberto Poloni

Pittore, Scultore, Poeta

CRITICA DI CARLO SGORLON DA UNA "PERSONALE" ORDINATA DAL COMUNE DI AURONZO SU ROBERTO POLONI, IL "PRINCIPE DEL COLORE".

Da bambino e da ragazzo mi piaceva copiare i quadri altrui, perchè non avevo ben chiaro che la pittura è invenzione e creazione. Quando maturai un' estetica personale, essa mi servì per diventare un narratore. Però il desiderio di dipingere è rimasto in fondo al mio spirito, in una zona limbaIe collocata tra inconscio e consapevolezza. Probabilmente è questo il motivo per cui sono stato preso da una intensa emozione quando, poche settimane fa, ricevetti alcuni cataloghi del pittore Roberto Poloni. 

Infatti l'artista di Montebelluna dipinge un po come avrei voluto fare io, se il destino mi avesse concesso del tempo anche per la pittura. Gli stessi soggetti, le medesime fantasie chagalliane, i colori forti che il mio "alter ego", che avrebbe voluto dedicarsi a quella che Konrad Fiedler chiama la "pura visibilità", ha immaginato ma non realizzato. Un mondo di fantasmi, di forme e di colori che si affollano in qualche iperuranio sconosciuto, come le anime non nate, o quelle "che ritornano alle stelle", nel Timeo di Platone. 

Poichè ho citato il grande filosofo greco, dirò anche questo: Poloni ed io sembriamo appartenere a un medesimo archetipo platonico. Ma chi si trova nel reale è costretto a scegliere: Poloni ha optato per la pittura e io per la scrittura. Entrambi proviamo una forte nostalgia per la via che non abbiamo potuto percorrere, o che abbiamo soltanto tentato. Leggendo i miei libri più fantastici, anche Poloni si è accorto che essi descrivevano il suo medesimo mondo. 

Ma lasciamo in disparte Platone, filosofo che rappresenta un po la sintesi di tutto ciò che non è entrato nella storia e non si è incarnato nel concreto. 

Come tutti gli artisti veri, Poloni ha una vicenda che coincide con la ricerca della propria identità. Una delle prime cose che egli capì di se medesimo, quando cominciò a dedicarsi alla pittura, negli anni '60, fu probabilmente che non poteva voltare le spalle alla natura e divenire un pittore astratto del geometrico o dell'informe, alla Kandinskij o alla Pollock, una scelta di per se già ricca di significato. Abbandonare la natura è un po come entrare dentro i territori di una laicità totale, di una autonomia universale dell'uomo, come quelle dei filosofi dell'idealismo assoluto (Fichte, Hegel, Croce, Gentile), che hanno sostituito Dio con l'intelletto umano, visto come la fonte stessa del reale, il Primum, il Demiurgo che è causa di se, della natura della realtà. 

È questa un'autonomia troppo vasta e ubriacante, che spesso turba la mente dell'uomo contemporaneo, il quale agisce come un folle, e sembra impegnato a realizzare fino in fondo la propria catastrofe. In Poloni la natura resiste, e rimane nell'ambito della sua pittura, anche se egli la rappresenta a modo suo, un po alla maniera dei "fauves" francesi, o dei pittori tedeschi del "Blaue Reiter", o di "Die Brücke", e gli espressionisti in genere.

Restò fedele alle forme archetipe della natura, ma tolse i freni della riflessione dalla sua carrozza e li buttò dietro le spalle. Amò la pittura impetuosa e precipitosa degli espressionisti, riducendo gli elementi di natura (alberi, case, cielo, strade, animali, sole, luna) a forme bidimensionali, create dal colore, ma prive di profondità prospettica, a segni appena identificabili, sommariamente indicati con la velocità travolgente di una pennellata forte e impetuosa. 

Ma, anche nei titoli assegnati alle sue tele, Poloni resta fedele al paesaggio veneto del Montello. Il "qui" ed "ora, il "principium individuazionis" dei filosofi lo avvince ancora a se. Non vuole precipitare nella astrazione indefinita di tanti moderni, che sembrano vivere dentro una notte in cui tutte le vacche sono nere, o almeno grigie. Colline e boschi sono per lui fonte di incantesimi intensi, non contemplativi ma dinamici al massimo, in cui il colore definisce le forme come in Matisse, in Derain o in Nolde.

La visione espressionistica gli entra nel sangue, e scopre gli animali e i fiori più adatti alla sua vocazione, e già entrati molto spesso in quella pittura, per esempio i galli, i girasoli o i papaveri. Progressivamente la pittura diventa per lui una passione incalzante. La natura e i suoi paesaggi, è un ondeggiamento perenne di colore forte e gioioso, stracarico di vitalità. La psiche di Poloni è di genere fantastico, sognante, inventivo, attirato dalla favola e dall'immaginazione. Non esiste alcuna concessione al "realismo socialista, che dominava e un po anche imprigionava tanti pittori del dopoguerra. 

Poloni in ogni quadro rivendica il suo diritto di dipingere con totale libertà, senza entrare nelle poetiche dettate dalle problematiche storiche e dalle loro ideologie. Io certo non sono di quelli che gli possono contestare questo diritto sacrosanto.

Al contrario. Io applico un "valore aggiunto" speciale proprio a quegli artisti che si sono liberati da ogni sudditanza dalle poetiche e le culture egemoni. Poloni non è un pittore sociale, calato nella storia? Tanto peggio per il sociale e la storia. Le sue fantasie di eterno fanciullo, cui piacciono le giostre, i circhi, i luna park, i caroselli, le sale giochi, i jukebox e gli arlecchini non sono meno reali dei contadini di Carlo Levi o i pescatori di Migneco e di Guttuso. È reale tutto ciò che appartiene all'uomo. Le problematiche sociali non sono più concrete dei nostri sogni. Anzi oggi tutti sanno che i sogni, da svegli o da addormentati, le evasioni coscienti o inconsapevoli, che le poetiche realistiche condannano, in realtà gratificano più del cosiddetto "reale", che spesso è frustrante, perché sempre infinitamente inferiore al nostro desiderio.

Poloni dipinge ciò che gli piace, che lo ispira e lo suggestiona, componendo fantasie chagalliane liberissime, in sintesi arbitrarie, irreali, che non obbediscono ad alcun criterio di tempo, di spazio o di prospettiva, e che sono autorizzate e giustificate soltanto dal sogno e dall'immaginazione. Popola i suoi spazi pittorici di ciò che vuole, suonatori volanti, maschere teatrali, sposi che escono di chiesa, scorci surreali di città, artisti da strada e da circo, chiese, giostre, centauri, cavalli fantastici. Anzi i cavalli di ogni colore, azzurri, bianchi, rossi, gialli, sono una delle sue costanti, come in Zoran Music. Cielo e terra sono per lui soltanto luoghi improbabili in cui collocare le sue figure, in forme rimpicciolite o dilatate, secondo un' esigenza individuale ed arbitraria, come accade spesso nella pittura medioevale, in cui il personaggio che giganteggia non è quello in primo piano, ma quello che più lo suggestiona. In altre parole, il criterio delle proporzioni non è regolato dalle regole prospettiche, ma dalle valenze spirituali.

Ci sono arlecchini che dominano l'orizzonte, come fossero apparizioni da apocalisse. In ogni quadro v'è, in forme sottintese, il motto universale di tanta produzione palazzeschiana: "E lasciatemi divertire!". 

Poloni a dipingere si diverte. E felice di sbizzarrirsi, di se- guire il suo estro fantastico e sognatore. E un pò felliniano, anche e soprattutto nel gusto di certe iperbole formali e nella sua propensione per i personaggi del circo o i suonatori ambulanti. Si colgono nella sua pittura più recente anche vaghi echi alla Mirò, per il suo gusto di collocare forme giocose, ariose e caleidoscopiche nello spazio; forme che si inseguono, si annodano con le loro code e i loro fantastici prolungamenti. I circhi, le spiagge, le vedute marine di Poloni sono appunto un caleidoscopio di figure sciorinate liberamente nello spazio indefinito di un Mirò, o meglio di quel genere di pittura divertito e pullulante di forme vive, mobili e vibratili, che ha nel pittore spagnolo il suo archetipo.

Ruote, stelle, girandole, clown, acrobati, funamboli, equilibristi, piste, tendoni, contrabbassi, grancasse, si compongono dentro spazi tutti inventati, secondo certe logiche compositive che si ritrovano abbastanza spesso nella pittura infantile, in una sorte di orrore barocco per il vuoto. La vita e i suoi volti in Poloni tendono a diventare spettacolo, teatro, esibizione, palcoscenico da teatro delle maschere o delle marionette. Esse però non arrivano mai alla mascherata tragica e funebre di Ensor. Meno che mai contengono uno spessore grottesco. Si possono avvertire in Poloni momenti di malinconia, e circhi e suonatori ambulanti non possono essere pensati senza avvertire una certa provvisorietà, caducità e labilità di quel mondo di vagabondi, che sembrano aver rinunciato a una vita confortevole per divertire i loro spettatori. Essa nasce dalla consapevolezza medesima che quel mondo di artisti da strada prima o poi verrà smantellato, sbaraccato, e i circhi e palcoscenici verranno trasportati altrove.

Ma che importanza ha, dopotutto? Con la sua fantasia Poloni li seguirà dovunque vadano. Io me lo immagino come un Lucignolo, sempre in attesa di partire per il Paese dei Balocchi, che è il suo vero mondo, il quale gli ha concesso una cittadinanza perpetua, come a tutti gli artisti che possiedono la mente di Peter Pan, il ragazzo eterno che si rifiuta di crescere. Dall'artista non si può pretendere mai che incarni i nostri schemi mentali, perché l'arte, se non è libera, non è più arte, ma diventa un' altra cosa. A questo proposito a me viene sempre in mente l'uccello azzurro di Maeterlinck, che diventa nero quando passa dal regno della fantasia a quello della realtà.

Non vi sono cliches fissi e palcoscenici immutabili in Poloni. La sua libertà consiste anche nel non lasciarsi catturare da cornici inamovibili. Quel gusto di libertà totale si può cogliere anche nei suoi moduli compositivi, perché il suo unico, vero caleidoscopio è la fantasia, che non genera duplicazioni di stampo geometrico, ma sempre immagini in libertà.

I suoi cieli sono movimentati e ondosi come le colline del Montello. Il sole è un girasole giallo che scoppia nel cielo.

Gli orizzonti producono architetture fantastiche e sognate, spesso venezianeggianti, perché la sua mente è un mago che inventa a getto continuo. Forse la sua metafisica ipotizza un Dio che è un "magicien" infinito, e lui, il pittore, un suo alunno, un po come l"apprenti sorcier" di Paul Ducas. Non però uno che sviluppa guai e provochi umoristici sorrisi. La pittura di Poloni non ride, non è umoristica, ne è mai attratta dalla metafora del riso; la sua allegria è di genere vitalistico e non una tonalità letteraria, una chiave di racconto. La sua perenne favola non ha sempre un' origine folcloristica e popolaresca, come quando dipinge le carte dei tarocchi, apertamente e dichiaratamente contadina, anche se, naturalmente, le sue radici lontane sono quelle.

C'è chi si aggrappa alla civiltà contadina per sfuggire i veleni, le distruzioni e le dissacrazioni della civiltà industriale. Ma in Poloni le cose non stanno esattamente in questo modo. Certo egli ha voltato le spalle alla civiltà industriale e al consumismo moderno, ma la faccenda non sembra limpidamente chiarita e definita nella sua filosofia. La civiltà dei campi a volte emerge, e figure solenni e archetipe di contadini possono venire in primo piano.

Ma non si tratta di costanti.

Piuttosto si tratta di sottofondi magmatici dell'inconscio, che Poloni lascia sbizzarrire e scorazzare come un puledro dentro il recinto dei cavalli. La sua barca veleggia liberamente nell'infinito arcipelago della pittura. A volte l'attrae la figura femminile, la bagnante nuda e formosa, concepita alla Matisse. A volte il suo quadro può essere attraversato anche da un brivido erotico, ma naturale, mai pesante o sovraccarico. Richiama Matisse anche un certo gusto della decorazione e la tendenza a trasformare il quadro in una sorta di tappeto, con tasselli di colore di sostanza edonistica e divertente. Penso soprattutto alle nature morte.

A volte il colore diventa forte come in Soutine, ma in fondo anche nel Gauguin del periodo bretone, anche lui, come l'amico Van Gogh, a mezza via tra impressionismo ed espressionismo. La sua natura, i suoi paesaggi, fortemente improntati alla terrestrità edenica di Franz Marc, o di August Macke, dilagano nella quasi totalità dello spazio.

Con l'ausilio del suo colore fantastico il pittore costringe la natura a svelare tutta la sua carica di vitalismo. Il colore infatti è forse l'elemento che meglio svela la natura artistica di Poloni. Il colore è irrazionale. Nasce dall'istinto e non possiede connotazioni meditative di pensiero o di struttura. Il colore erra nelle tele di Poloni come elemento conquistatore, dominatore, vittorioso. E come una sinfonia inesauribile che commenta e sovrasta il magismo del pittore. La sua anima ne è intrisa come una spugna, ed esprime colore da ogni piega e da ogni recesso.

Qualunque sia il soggetto della tela, Poloni è soggiogato dal colore. Esso è come un vino forte che agisce sul suo sistema artistico e lo esalta; lo attira con la forza inesauriibile di un miraggio.

La sua tavolozza è piuttosto profonda, scura, accentuata, ma non cupa. Al contrario è vivacissima, ridondante, allegra come un fuoco d' artificio. Nelle forme e nelle invenzioni si avvertono vaghe risonanze, già citate, a cui forse bisognerebbe aggiungere anche Picasso, artista fondamentale, chiave di volta dell'arte del Novecento, con cui ogni pittore contemporaneo deve prima o poi fare i conti. Ma il colore è sempre e soltanto suo. Sgorga a getto continuo dalle radici dell' anima, che è un impasto di spirito e di colore, di sentimento e di colore, di emozione e di colore, di fantasia e di colore. Nell'universo di Poloni in principio non era la forma, o il segno, o il simbolo, o la metafora, ma il colore, causa ed effetto, principio e fine. Poiché ognuno può immaginarsi il Creatore come vuole, Poloni lo sente non soltanto come mago sterminato, narratore di favole, ma anche come un distributore e creatore di colori, come un arcobaleno uscito dalle piste celesti e diffuso prodigiosamente nell'essere universale. Un demiurgo di mille luci, prodigo senza limite di colori per dissolvere un poco l'eterna malinconia dell'uomo, il suo vizio costante, nei nostri tempi, di corteggiare la morte, e ricordargli che la vita è anche gioia e bellezza.


Carlo Sgorlon 4 maggio 1998


BREVE ANTOLOGIA CRITICA

Il dono di Arlecchino di Ivo Prandin

...all'infanzia di Poloni, quella forma allusiva e stregante, si è aperta, è anzi esplosa come può scoppiare un fiore o una scatola magica. Tutto ciò che quella casa conteneva è volato via: e ancora vola sopra le nostre teste, con un frullo divertito di molte ali iridescenti, con la musichetta di una giostrina, con la passione di una coppia di sposi, con l'eleganza di cavalieri immaginari, fellinescamente confusi e miracolosamente veri. Tutto nasce da quella casa che muore come casa e diventa il tumulto di ciò che in essa fermentava, i sogni di un uomo. Quel patrimonio fantastico, oggi, è diventato anche nostro. E il dono di Arlecchino, dono d'artista.


Roberto Poloni: dall'espressionismo alla poesia visionaria di Franco Batacchi

...lo stesso quadro, con poche varianti. Li trovo noiosi, ripetitivi. Preferisco i pittori che scommettono sulla fantasia, che hanno storie da raccontare. Quelle di Poloni sono fiabe incantate, belle favole per le quali gli siamo grati.
In momenti come quello che stiamo vivendo, abbiamo più che mai bisogno di tornare alla realtà della poesia. E Poloni ce la dona a piene mani.



"Nel nome del colore: Roberto Poloni" di Gioia Gardo

...ed è il sole l'ultimo tema che sta a cuore a Poloni, un'immagine che si ripete in ogni quadro e a cui di rado dedica un titolo da protagonista ("Là, il sole" 1977). Eppure è lui la sua porta, il suo sfogo sull'altra dimensione, la via per cui entra ed esce la sua mente ed il suo corpo d'arlecchino la mattina, quando si sveglia dopo il sogno che la sua memoria esalta coi colori.
"Pittore/poeta/scultore/sono forse io? / É forse la luce che/ mi dà il giorno/ che mi fa trovar la via.../ Io che respiro le mie angoscie/ le mie paure. /Io cerco di trovarmi / là dove passa, ...l'Illuminante".



La felicità narrativa e l'energia vitale della pittura e della scultura di Salvatore Maugeri

...cerca le tensioni dello scarto del volo degli uccelli; l'aggressività degli animali rapaci, dei galli in lotta, dei tori frementi nel repentino ballo, delle capre agonizzanti. Il problema connesso all'equilibrio dei volumi, al gioco ardito dello sviluppo contrapposto del verticale con trasversale e con il longitudinale, per lui, si attua solamente in funzione espressiva, senza interferenze ovvero contaminazioni culturali.
Per Roberto Poloni l'opera plastica consegue la sua validità quando è espressione di vitalità, anche se dovrà correre il rischio, qualche volta, di non riuscire ad andare al di là del fare bozzettistico. Più di frequente invece vince la vitalità dell'impeto, vince l'energia dell'azione, vince il diretto, naturale gioco dei volumi come espressione immediata di quella forza che dà e mantiene la vita.



«Poloni: un sogno fantastico; un filtro di sentimenti» di Paolo Rizzi

...la pittura (e, perchè no?, la scultura) di Poloni appartiene a quella tendenza dell'arte d'oggi che privilegia la primarietà degli istinti sull'accumulo culturale. Non si tratta di regressione aculturale: anche questa sarebbe un'utopia. Si tratta di una capacità di ritrasmettere impulsi istintivi che stanno nelle regioni dell'inconscio. Le modalità automatiche del Surrealismo sono anch'esse messe in subordine, proprio in quanto la collusione con le forme subdole dell'intelligenza appare sempre più evidente. Il dipingere in trance, il penetrare all'interno, l'essere sempre e comunque genuini: ecco un aspetto che l'estetica attuale tende ad evidenziare.
In fondo, Poloni è anch'esso un «buon selvaggio» ma, diversamente dai colleghi Neue Wilden tedeschi, tanto di moda, i suoi sogni hanno una dolcezza romantica, che va al di là dei brutalismi d'effetto. Niente alberi segati e accette sui tronchi; bensì il canto melodico di un ricordo lontano, riportato a galla con grazia rustica. Un affabulare gentile e, insieme, virile: un fuggire ma restare anche legati a se stessi.


L'umiltà e la verità nella pittura di Roberto Poloni di Mirella Occhipinti

...Roberto Poloni, come «trapasso logico» in quanto giustificabile con principi di natura «ottica-percettiva», dove le forme «surreali-metamorfiche», sono assolutamente equivalenti: sia le une che le altre costituiscono dei simboli.
Nei suoi quadri, Poloni rappresenta figure ma anche quasi esclusivamente animali, e questa scelta non è certo casuale, ma riveste appunto un intento simbolico.
Gli animali, più vicini dell'uomo alla vita della natura, più istintivamente partecipano alle leggi di armonia universale che regolano il creato, e sono pertanto simboli di comunione e di pace, di verità e di umiltà. Egli «studia» con assiduità i movimenti degli animali e li rappresenta in spazi creativi e giocosi, nell'intento di trovare in essi quella «forma» essenziale nella quale esprimere in sintesi la loro innocenza.

La Galleria d'Arte "La Saletta" di ROBERTO POLONI

Via Tripoli, 4

31044 - Montebelluna - Treviso - Italia

Tel. 0423 605691

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